Uno dei temi che mi viene spesso chiesto di affrontare in azienda, e di “lavorare” nei percorsi di coaching, è quello della diversity&inclusion.

Si tratta di un tema che da inizio 2000 ha visto una forte attenzione in USA e che, con molta fatica, sta guadagnando attenzione in Italia.

Occorre a mio parere sempre ricordare che dedicare risorse ed attenzione a questo tema non è qualcosa solo correlato all’etica, alla morale, a fare qualcosa di buono o giusto: occuparsi di diversity&inclusion significa, secondo me, contribuire significativamente al risultato economico dell’azienda.

Di cosa parliamo:

Diversity ha a che vedere con chi assumiamo o opera in azienda. Diversity non è solo etnia, colore della pelle, lingua, religione, sesso, età, disabilità, ovvero differenza fisica. Diversity è anche riconoscere le diversità di personalità, di stile di vita, di ruolo, di composizione familiare, di pensiero, poiché anche queste influenzano il processo decisionale e il comportamento.

Inclusion ha invece a che vedere con il modo in cui i collaboratori sono rispettati, accettati e incoraggiati a partecipare pienamente all’organizzazione. In un contesto inclusivo, le persone sono riconosciute ed apprezzate per la loro unicità e quindi si sentono a proprio agio condividendo i propri punti di vista e ogni altro aspetto del loro vero e autentico sé.

Da numerose ricerche (vedi ad esempio Deloitte, HBR, Gallup) emerge che

+ Diversity&Inclusion = + talento

Creare una cultura “diversity” è consentire all’azienda di attingere a nuove e diverse fonti di talento e a competenze più ampie. Le aziende con cultura e pratica diversity sia a livello executive che a livello operativo (ancora piuttosto rare in Italia) appaiono meglio in grado di soddisfare le esigenze del mercato globale in crescita e attrarre una più ampia gamma di clienti.

+ Diversity&Inclusion = + innovazione

La diversity accresce il potenziale innovativo aziendale, grazie a esperienze e punti di vista ognuno diverso e unico. Le organizzazioni con diversità di genere tra i loro manager spesso mostrano aumenti sostanziali dei ricavi derivanti dall’innovazione. Nei team con all’interno esperienze, opinioni e background diversi, più facilmente si sviluppano idee innovative. Al contrario, culture organizzative troppo omogenee tendono a generare team che hanno dirigenti e manager che pensano e si comportano come il loro management, con conseguente pensiero omologato e mancanza di innovazione (e con la classica lamentela da parte del management “… non fanno mai qualcosa di diverso”).

Quando inclusion non è una costante delle politiche aziendali, del comportamento dei leader e dei gestori, le risorse inevitabilmente si impegnano nel covering

Il termine “covering(copertura)” è stato coniato nel 1963, dal sociologo E. Goffman a dire come individui con identità o caratteristiche “stigmatizzate” facevano un “grande sforzo per evitare che lo stigma incombesse sempre più”. Goffman per dare un esempio di covering fece paradossalmente l’esempio di come il presidente Roosevelt si assicurasse di essere sempre seduto dietro un tavolo prima che iniziasse una riunione. Il presidente Roosevelt non stava nascondendo la sua disabilità, perché tutti sapevano che era su una sedia a rotelle. Tuttavia, coprendosi, si assicurava che la sua disabilità non pesasse su di lui e sulla conversazione.

Spesso, specie in Italia, pensiamo che in azienda il covering sia solo un problema relativo alla sfera (omo)sessuale, quindi forse solo parzialmente rilevante (se mai la discriminazione anche di un solo individuo può essere poco rilevante).

Ma nel nostro paese troppo spesso essere di colore è una stigma, occuparsi dei figli e parlarne è una stigma, qualsiasi forma di debolezza, qualsiasi fragilità è una stigma. Da una ricerca USA di Deloitte emerge che il 61% degli impiegati nasconde in qualche modo parti della sua identità; è interessante notare che il 45% di maschi bianchi adulti utilizza qualche forma di “covering” (e.g. per problemi di disagio mentale).

Quando le persone si impegnano nel covering evitano di rendersi identificabili (ad esempio nell’abbigliamento o nelle attività sociali, un gay preferirà non invitare il suo compagno ad una cena aziendale), nascondono la loro appartenenza ad un gruppo specifico , non reagiscono e a volte addirittura approvano luoghi comuni omofobi o comunque offensivi per la loro diversity, evitano comportamenti che nella mentalità comune sono associati a quella diversità (una donna cerca di non parlare dei problemi con i figli).

Credo risulti evidente che quando le persone sono impegnate nel covering dedicano le loro risorse, e probabilmente le loro risorse migliori, a nascondersi, a evitare di essere identificate e stigmatizzate. Di nuovo non si tratta di essere buoni e comprensivi: consentire a queste persone di essere sé stesse può generare un significativo aumento prestazionale, perché le persone potranno dedicare le loro energie al lavoro e non a nascondersi (e anche noi potremo stare più in pace con noi stessi e con le nostre differenze…)

Cosa possono fare le aziende?

• Occorre che il tema Diversity&Inclusion sia qualcosa di più che un tema da citare nelle interviste o sul sito aziendale, deve essere una priorità a livello CEO. Occorre responsabilizzare e sensibilizzare i leader, misurandoli in ottica Diversity&Inclusion su promozioni, assunzioni e politiche retributive. L’incentivazione dei leader e di ogni gestore deve avere come voce rilevante l’impegno documentato su Diversity&Inclusion.

• Oltre le parole utilizzare i dati per identificare i problemi e misurare i progressi: gli analytics possono ora aiutare a identificare discriminazioni di genere e parzialità etnica, disparità nei compensi e nei premi e pregiudizi nelle assunzioni e nelle promozioni

• Comprendere che non è solo un problema delle risorse umane: considerare la diversità e l’inclusione come parte dell’infrastruttura aziendale, proprio come la conformità alle norme, l’IT e la sicurezza; Diversity&Inclusion deve essere praticato da tutti e di proprietà di tutti i leader di linea. La diversità e l’inclusione sono una responsabilità di business, non una responsabilità delle risorse umane.

• Sviluppare adeguati programmi di formazione e coaching individuale per gli executive e per i middle manager, questi ultimi troppo spesso vengono lasciati fuori da queste iniziative

Cosa possono fare i leader?

Secondo Deloitte leader attenti a Diversity&Inclusion si caratterizzano per queste competenze:

Impegno: sono profondamente impegnati nella diversità e nell’inclusione perché fanno parte dei loro valori personali e credono nel business case di diversità e l’inclusione. Sanno che più Diversity&Inclusion significa migliori risultati aziendali, Articolano il loro impegno in modo autentico, sfidano con coraggio lo status quo e si assumono la responsabilità personale del cambiamento.

Coraggio: sono umili sulle proprie capacità, sono coscienti del fatto che le loro opinioni sono appunto tali (e non verità indiscutibili), che ne esistono altre altrettanto legittime e forse più produttive. Ricercano costantemente ed ascoltano i contributi degli altri.

Consapevolezza dei pregiudizi loro e del sistema: Sono consapevoli dei propri punti ciechi, dei modelli mentali che li limitano, così come dei malfunzionamenti nel sistema. Nulla potrà cambiare in un giorno, ma loro lavorano duramente, da oggi, per superare i propri pregiudizi e modificare le strutture organizzative per garantire nuove opportunità.

Curiosità: Hanno una mentalità aperta; amano la diversità, perché diversità è ricchezza. I leader inclusivi sono profondamente curiosi degli altri, cercano di ascoltare senza preconcetti e di capire.

Intelligenza culturale: sono attenti alle culture diverse, le ricercano come fonte di innovazione e cambiamento e si impegnano ad accettarle ed a conviverci.

Collaborazione: danno potere agli altri e creano condizioni, come il rispetto e la coesione del team, affinché la diversità di pensiero possa emergere liberamente.

Questo è molto di più che essere cortese con le persone, o anche solo essere consapevoli dei pregiudizi inconsci; una leadership inclusiva è più ampia ed è un processo molto più intenzionale e impegnativo.

Ai leader è richiesto di modificare i loro comportamenti e l’ambiente di lavoro circostante per soddisfare le esigenze aziendali di diversi talenti, idee, clienti e mercati.

Questi sono soltanto alcuni degli elementi su cui operare; se vi interessa sviluppare programmi formativi su Diversity&Inclusion, e/o di avviare percorsi di coaching individuale sul tema, potete contattarmi via LinkedIn o a venanzi.giovanni@gmail.com